ABITARE IL DESIDERIO, CONDIVIDERE IL FUTURO

Diario di bordo

Ci sono parole che, più di altre, riescono a spiegare un percorso. “Rischio” è una di queste. La montagna, nel nostro immaginario, è spesso il luogo del pericolo fisico, della sfida verticale, della solitudine estrema. Ma la montagna è anche – e forse soprattutto – il luogo di un altro rischio: quello di essere lasciata indietro.

Marginalità. Spopolamento. Fragilità ambientale. La montagna è uno dei punti più esposti del sistema territoriale italiano. Qui i rischi, al di là della facile epica alpinistica, sono quelli della coesione sociale che si sfalda, dei negozi che chiudono, delle scuole che non riaprono. Del clima che cambia, del bostrico che si mangia i boschi, delle frane che scendono e delle strade che si interrompono, del lavoro che non si trova, del senso di appartenenza che evapora.

È in questo contesto che abbiamo scelto – consapevolmente – di prenderci un rischio: quello di abitare un territorio in modo imprenditoriale. Abbiamo accolto la sfida di mettere in gioco un’impresa, non come distillato di profitto, ma come veicolo di generatività. Un’impresa che abita, gestisce, si prende cura. Che cammina accanto alle comunità. Che si fa carico della fatica di far quadrare i conti, ma anche della responsabilità di condividere senso e possibilità.

La forma di impresa, con tutti i suoi limiti e le sue storture, è al momento l’unica che permette di condividere il rischio di successo e di insuccesso di quella che per noi è una piattaforma, un innesco di sviluppo territoriale, con comunità in cui il rischio è cosa viva e quotidiana (come ci ha ricordato il recente dibattito pubblico sul Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne). Paradossalmente lo strumento che più spesso è utilizzato per estrarre valore, può essere piegato per “essere parte”, almeno per un pezzo, del rischio, del desiderio e del destino di una comunità, come una scintilla capace di alimentare un fuoco.

Condividere il rischio, in Val Saviore, ha significato diventare abitanti. E questo è un altro rischio ancora: perché chi abita non può più voltarsi dall’altra parte.

Ma se “rischio” è la prima parola chiave, la seconda è “Desiderio”. Abbiamo già scritto altrove del concetto di comunità di desiderio. Una comunità che non si definisce sulla base della prossimità fisica o delle origini, ma dell’orizzonte che sceglie di costruire. Casa del Parco Adamello è diventata, negli anni, una delle sue espressioni più vive. Uno spazio che tiene insieme chi c’era, chi è tornato e chi è arrivato. Un luogo che attiva, aggrega, connette.

In montagna, il rischio non è solo verticale: è sociale, ambientale, esistenziale. In questo contesto, scegliere di abitare e fare impresa diventa un atto radicale di cura e desiderio.

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2024: STARE E ABITARE

Dopo i primi anni segnati dall’esplorazione, il 2024 è stato l’anno della permanenza. “Stare” non come rinuncia al movimento, ma come scelta di profondità. “Abitare” non come possesso, ma come relazione.

Nella Relazione di Impatto 2024, raccontiamo come Avanzi Discover abbia consolidato il proprio modello imprenditoriale e il suo radicamento in Val Saviore. Le azioni messe in campo presso Casa del Parco Adamello parlano di ospitalità più lenta, di cucina calda pensata per aggregare, di reti corte e lunghe che si saldano in alleanze generative.

Sono aumentati i pernottamenti (+7% rispetto al 2023), si è allungata la durata media dei soggiorni (da 1,92 a 2,04 notti), è cresciuto il valore percepito dell’esperienza offerta. La trasformazione del ristorante, che ha puntato con decisione sulla cucina calda, è diventata non solo un’opzione commerciale, ma una dichiarazione di cura verso chi arriva e chi abita.

Parallelamente, il lavoro culturale ha prodotto 48 eventi, un palinsesto tematico (“ECO. Paesaggi in risonanza”) che ha attraversato i mesi e le stagioni. Ha intrecciato saperi al femminile, giustizia climatica, agroecologia, sport outdoor. Ha attivato collaborazioni con 65 realtà (25 locali, 15 di valle, 25 nazionali). Ha generato una nuova grammatica dell’abitare.

L’occupazione – ancora fragile, ancora stagionale – inizia a raccontare traiettorie più stabili, con passaggi ad apprendistato e una crescente attenzione alla qualità del lavoro e delle relazioni. Due dipendenti sono residenti a Cevo, altri tre nelle immediate vicinanze: segno che la montagna può ancora trattenere, se c’è un progetto capace di nutrire desideri.

Infine, il 2024 è stato anche l’anno della messa alla prova del nostro modello. Non tutto si è concretizzato (un bando non aggiudicato, alcune relazioni commerciali da ricalibrare), ma anche gli esiti parziali ci hanno fornito occasioni preziose per riflettere su dove e come migliorare. Perché abitare davvero significa anche questo: esporsi, ascoltare, correggere.
Con questa Relazione di Impatto, non intendiamo solo rendicontare risultati. Vogliamo continuare a raccontare un’idea di impresa che si misura non solo in numeri, ma in qualità delle relazioni attivate. Un’impresa che si prende cura dei luoghi e delle persone. Che riconosce il rischio come spazio di possibilità. Che sceglie il desiderio di comunità come bussola.

Da Milano alla Val Saviore, continuiamo a credere che un altro modo di fare impresa – e di abitare il mondo – sia non solo necessario, ma possibile.

 

di Giovanni Pizzochero, Head a|discover

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