«Mi chiamo Martina Porro, sono originaria della Val Malenco e qui alla Casa delParco mi occupo della gestione e del coordinamento della struttura. La motivazione che mi ha avvicinata al progetto ormai un anno fa si radica nel forte desiderio di operare in montagna, in un contesto da cui ero consapevole di provenire, da cui in un certo senso sentivo il richiamo, ma in cui ero consapevole di non riuscire a stare, o di non aver ancora capito come stare».
 

Inizia così l’insieme di testimonianze che ci arriva dalla Casa del Parco dell’Adamello di Cevo, da un anno in gestione ad Avanzi Discover srl SB. Si tratta di un ‘veicolo d’impresa’, controllato da Avanzi Sostenibilità per Azioni, un’impresa che esiste dal 1997 ma trova il suo fondamento nella legge di bilancio del 2016, dove vengono de nite le “società benefit” che operano appunto a favore del “beneficio comune”. Nella pratica, la società è lo strumento che ha permesso ad un gruppo di giovani operatori e operatrici, come Martina, di occupare e animare la Casa del Parco di Cevo, il primo passo di un ambizioso progetto.

«Abbiamo come obiettivo la rigenerazione territoriale nelle aree interne della montagna di mezzo», si legge infatti nella Relazione di impatto, il documento che descrive l’attività della società in questo primo anno: la montagna di mezzo intesa come quei luoghi troppo alti per sviluppare le industrie del fondovalle e troppo bassi (ma forse non è soltanto questo) per avere sviluppato il turismo delle piste da sci.

«Quando sono arrivata a Cevo ormai un anno fa non sapevo bene cosa aspettarmi», dice la community manager della Casa (il team di Avanzi non teme certo l’uso dell’inglese), Daria Tiberto, «pur essendo lombarda – brianzola per la precisione – non ero mai stata in Valle Camonica e ammetto di non avere molta familiarità con la montagna».

Ma questo in fondo non conta troppo. Daria proviene da una precedente esperienza nelle aree interne della Sardegna, e l’idea è di creare a Cevo un’attività che sappia collaborare con la gente del posto e contribuire allo sviluppo comune della Valsaviore; sempre secondo la relazione d’impatto, trasformare la Casa del Parco in «un luogo di comunità che dialoga con il contesto e propone cultura, promuove il territorio e valorizza le risorse locali, le pratiche e i saperi di montagna».

«In questo senso lo stare a Cevo credo sia divenuto per me come un nascere una seconda volta – continua Martina – divenire di nuovo parte di una comunità, facendomi abitante. Col tempo in un certo senso posso dire di essere sì una persona che intende – insieme con il gruppo di lavoro – intervenire in un contesto locale, ma senza creare una distanza, immedesimandomi nel contesto stesso».

Le persone che qui lavorano hanno riattivato lo “spazio multifunzionale” della Casa del Parco: un ostello con cucina, sale lettura, una stanza dedicata ai più piccoli, una terrazza, una chiesetta sconsacrata e un ampio giardino esterno. Qui vengono organizzati eventi culturali, incontri di formazione, nella speranza di trasformare la casa in un luogo di aggregazione di quella che Giovanni Pizzocchero, un’altra delle persone coinvolte, definisce una «comunità di desiderio», ovvero «soggetti che si aggregano attorno a visioni e istanze condivise e ambiscono a trovare nuove strade da intraprendere collettivamente per affrontare le sfide del nostro tempo. Persone che disegnano intenzioni attorno a desideri comuni, e che attivano le energie per la loro realizzazione».

In concreto alla Casa del Parco sono stati realizzati, nei due mesi estivi 2022, 11 eventi; è stato organizzato il campus residenziale “Generatori di Cambiamento”, per coinvolgere esperti ed esperte di tutta Italia nella “costruzione di processi e prospettive capaci di riattivare spazi nella montagna di mezzo”. Il gruppo di gestione, in questo primo anno, è stato composto da 3 uomini e 4 donne, per un’età media di 32 anni, tut- ti «stranieri» in Valsaviore. Sono poi state coinvolte due donne del posto, di supporto durante la stagione.

L’attività principale è probabilmente il funzionamento dell’ostello, che può offrire 44 posti letto e da giugno ad ottobre 2022 ha visto 1.421 pernottamenti. Il tasso di occupazione della struttura è stato in media del 37,6%, con il picco del 60,8% ad agosto e il minimo del 23% a luglio.

«Qui ogni giorno ho la possibilità – racconta Daria – di mettermi alla prova come professionista, all’interno di un team a affiatato, democratico e orizzontale. Forse l’a- spetto che continua a motivarmi nel tempo è il fatto che la Casa sia e possa essere uno spazio creativo. Un contesto organizzativo stimolante e aperto alle proposte e alla sperimentazione, e che concepisce la leva culturale come canale di dialogo – e anche di provocazione – con il territorio e con la media montagna».

Il coinvolgimento del territorio avviene anche attraverso la leva economica. La piccola cucina dell’ostello o re prodotti acquistati dalle aziende locali, per un totale di circa 25.000 euro. In questo modo è stato possibile attirare una piccola “folla” di 4.129 utenti, che si sono fermati a mangiare nella struttura.

Cevo è stato il laboratorio, e il 2022 l’anno della sperimentazione: il 2023 dovrebbe essere, secondo la società, il momento del «consolidamento», che permetterà di pensare, nel prossimo anno, di avviare un secondo e forse un terzo progetto.

La consapevolezza della s da, ma an- che dell’importanza della propria azione non manca d’altra parte alle persone impegnate alla Casa del Parco. «Il periodo pandemico è stato cruciale per il mio percorso formativo – conclude Daria – ho capito con chiarezza di voler uscire dai luoghi di cura tradizionali per tu armi nei contest di vita, che poi è dove accadono le cose. E di farlo toccando quelle situazioni di margine – e non marginali – quella zona che sta prima del cronico, prima dell’emergenza, dove bisogno e potenzialità non sono ancora due posizioni reciprocamente escludenti, ma co-esistono, mischiate, come due punti di vista alternativi tra cui è ancora possibile scegliere di dare spazio».

L’augurio è che l’esperimento si riveli essere un successo, non solo per la società, ma anche per la comunità della Valsaviore.