APPRODARE IN UN TERRITORIO

Diario di bordo

Giungere a Cevo è un po’ come masticare chilometri e contrasti. 

Percorrendo la SS 42 si ha come l’impressione di attraversare una valle vocata all’industria e alla mano dell’uomo che non accarezza, ma si impone ed estrae, strappa via. Una valle attraversata da un ritmo urbano, veloce, artificiale.  

All’altezza di Sellero si svolta leggermente verso nord-est per poi imboccare la deviazione giusta per addentrarsi in uno scenario altro: la strada che da Cedegolo sale verso la Val Saviore è una morbida linea abbracciata dai boschi, che asseconda la montagna. L’asfalto si curva seguendo la roccia, e produce un dondolio leggero che riecheggia sino al fondo valle. Cevo sta proprio lì: una manciata di case custodite tra dolci intimità scoscese. Qualcosa di piccolo, come piccole sono spesso le cose preziose. Qualcosa di piccolo che riposa appena lì sopra, spostato un po’ di lato, dove sono le cose che vanno cercate. 

La deviazione giusta per approdare in uno scenario alto: alto è il punto di vista cui l’altitudine piano piano ti consegna, che è alto rispetto al basso, l’alto da cui osservare quel basso di cui poco prima eri anche tu un minuscolo frammento. I chilometri di alberi, sentieri, prati, case e terra che separano materialmente il fondo valle figurano un confine tollerante e silenzioso. Indicano il fermento meticcio del margine: una linea immaginaria, non sottile, ma ariosa, larga quanto basta per lasciar sfumare, per abbandonarsi e farsi sfumatura tra. Tra città e paese, rumore e silenzio, cemento e legno, veloce e lento, pianura e montagna, roccia e cielo. Tra qualcosa che certamente è stato e qualcosa che vuole essere, e diventare forse. Tra restare e partire, partire e tornare, partire e arrivare. Questa è la sensazione con cui approdo in questo territorio nuovo. Con il sospetto di essere nel punto esatto dove il diverso s’incontra, e si scontra anche, e dove quindi molto può accadere.


di Daria Tiberto, Community Manager

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