GLI SPAZI DELLA CASA

Diario di bordo

La Casa è un’edificio costruito in tonalite, il granito dell’Adamello. I suoi 5 piani di altezza le conferiscono uno slancio verso il cielo, quasi come se la materia di cui si compongono volesse in qualche modo ristabilire il suo posto tra le cime sorelle che svettano placide sullo sfondo. 

Anche all’interno si può rintracciare un certo dinamismo: ad eccezione dei tre piani superiori dedicati alle stanze, le tante sale di cui si compone la struttura hanno forme e disposizioni differenti, di una varietà leggermente stonata che provoca l’immaginazione. 

Il terrazzo è il mio posto preferito della Casa. Sarà perché si può guardare la montagna negli occhi da lì, godersi l’abbraccio del sole, e osservare dall’alto l’affaccendarsi del giorno. Sarà perché le luci che abbiamo fissato con cura, insieme, mi ricordano i primi giorni qui, dove ci siamo conosciuti costruendo insieme, sconosciuti fino a poco prima. Ogni mattina, appena sveglia, allestisco lo spazio come da progetto, secondo uno schema preciso. Ogni sera, prima di chiudere, ritiro sdraio, cuscini e tavolini. E sorrido, perché lo schema di partenza si sgretola, si piega dolcemente ad un disegno sempre differente, spontaneo, alle interazioni di chi decide di abitare quello spazio, anche solo per un attimo, e di farlo luogo. Questa sera ho trovato un grande cerchio, e mi sono commossa. 

La cucina è il terreno dove l’ideale è sceso a patti con il mondo e si è sporcato, mischiandosi al fare. Tra quelle pareti ha preso forma la nostra azione di scoperta e di racconto del territorio, che è entrato dentro, è stato interrogato, maneggiato, alterato, interpretato, e solo poi restituito. Inventare combinazioni tra gli ingredienti e passare poi alla preparazione dei piatti non sono stati gesti casuali, ma una somma di delicate attenzioni: dietro ai prodotti selezionati con cura si celano volti e storie, personali e collettive, di tante persone con cui lo scambio commerciale si è fatto relazione umana e il cibo pretesto per entrare in contatto con la cultura del luogo che abbiamo iniziato ad abitare, per conoscerla e imparare a raccontarla. Ma cucinare per noi, non addetti ai lavori, è stato sinonimo di tante altre piccole cose invisibili: è stato non sentirsi per nulla pronti, ma farlo comunque; fidarsi dell’intuito e affidarsi alla passione di pochi diventata traino di tutti; bilanciare sapori e caratteri, e capire che insieme possiamo funzionare un gran bene. 

 

di Daria Tiberto, Community Manager

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